Chi ama non conosce confini

Aleppo non è più squassata dai combattimenti e cerca di tornare alla normalità, ma l’emergenza – lì come nel resto della Siria – non è affatto finita. Molti cittadini sono scappati, pochi tornano. Anche grazie alla solidarietà di tanta gente semplice dell’Italia e del resto del mondo i francescani in questi anni hanno fatto del loro meglio per sostenere la popolazione in molti modi, venendo incontro alle necessità primarie. È attorno a questa consapevolezza drammatica e comunque carica di speranza che si radica il desiderio della nostra parrocchia di “non stare a guardare” e di non fare finta di niente. Sarà poco, però l’impegno per un momento di sensibilizzazione e di fraternità come l’organizzazione di una “cena” rappresenta tanto: non solo per ciò che con il sacrificio di chi aderisce riusciamo a raccogliere e a donare alla parrocchia di san Francesco ad Aleppo; ma anche per ciò che in noi e attorno a noi può suscitare una simile occasione in termini di riflessione, di invito alla preghiera, di domande che generandosi in noi ci mettono davanti alle nostre piccole grandi responsabilità e a quel tremendo interrogativo: cosa posso fare anche io? Il valore aggiunto è comunque “partecipare, fisicamente esserci”: condividere con semplicità la mensa, trascorrere in fraternità qualche ora della serata, gustare insieme le gustose pietanze dell’amore dei volontari che organizzano, accolgono, preparano e donano se stessi, rompere la monotonia della tv e, perché no, di un po’ vincere un po’ di pigrizia…, non ha sicuramente prezzo! Perché così, possiamo dirci e dire che davvero per noi è importante aprire il cuore anche a questa assurda sofferenza della guerra e che ci stiamo a fare la nostra parte perché ad Aleppo giungano gocce di speranza, di fiducia e di vita che può ricominciare. Semplicemente sostenere la speranza e l’amore che ad Aleppo, nonostante tutto, non hanno mai smesso di circolare e di camminare tra le strade impolverate e  cuori distrutti. “«Ci sono le case da riparare, le chiese e le moschee, ma a dover essere ricostruita è soprattutto la persona. Le ferite sono tante: ve ne sono di manifeste, a ogni angolo di strada, e ve ne sono di nascoste, nei cuori delle persone e nelle relazioni a tutti livelli della società. La notte di Aleppo non è finita, ma il fuoco non si è spento sotto la cenere e la morte non ha l’ultima parola». (P.Ibrahim)

don Emanuele